La sindrome del colon irritabile
Parlare di sindrome del colon irritabile vuol dire addentrarsi in un capitolo di cui fanno parte patologie (o meglio disfunzioni) dell’intestino molto complesso e dai confini sfumati. Anche la dispepsia non ulcerosa, disturbo non organico dello stomaco, fa parte di questo gruppo di patologie, ma non è di questo che parleremo. In entrambi i casi si parla genericamente di sindrome dell’intestino irritabile (IBS = Irritable Bowel Syndrome).
Nonostante siano stati dati dei criteri clinici per inquadrare questa sindrome molti, ancora oggi, faticano a definirla e quindi a curarla. Entrando nel merito dei dati statistici troviamo innanzitutto che colpisce un numero impressionante di individui, il 20% della popolazione indipendentemente dalla razza di appartenenza. Colpisce più frequentemente il ceto sociale medio e il genere femminile. L’età più colpita da questa patologia è tra i trenta e i sessant’anni. L’immenso numero di individui affetto da questi disturbi giustifica l’enorme spesa sostenuta dal SSN e dalle singole persone. Solo il 10% delle persone che soffrono di questo disturbo si reca però dal medico e questo condiziona sia la diagnosi che la terapia. Condiziona però anche la statistica, in quanto non è possibile stabilire con esattezza il numero di persone che ne è affetto, l’età, il sesso, la razza e il ceto sociale.
Ma perché non se ne parla? Per imbarazzo generalmente, ma anche per sconforto o sfiducia rispetto alle possibilità terapeutiche. Chi ne è affetto, inoltre, ne soffre da così tanto tempo che ritiene quasi scontato dover vivere queste sensazioni. E soffre in silenzio, con ripercussioni psicologiche e di vita sociale anche gravi.
Ma dal medico per le IBS ci vanno comunque milioni di persone ogni anno nel mondo, tanto che il disturbo funzionale dell’intestino è tra i primi sette disturbi diagnosticati dai gastroenterologi. Ma è anche una sindrome alla cui diagnosi si arriva solo dopo esclusione di patologie organiche che da questa possono essere mascherate.
Mi spiego meglio. Non essendoci esami strumentali o di laboratorio che evidenzino con certezza una IBS, vanno escluse le patologie con gli stessi sintomi che invece con gli esami strumentali e di laboratorio possono essere diagnosticate. Potremmo quindi dire che la diagnosi di IBS va fatta per esclusione. E quasi con sollievo, perché magari l’alternativa è una neoplasia o una infiammazione cronica grave o una parassitosi, o una diverticolite.
Dico “quasi” perché, dopo un primo sospiro liberatorio, escluso quindi il pericolo maggiore, rimane una sindrome da cui l’individuo si libererà solo a fatica e anche senza la certezza di un risultato completo e definitivo.
Ma quindi cos’è la sindrome dell’intestino irritabile? Da cosa è caratterizzata?
La complessità di ciò che stiamo parlando ha meritato congressi e ricerche sull’argomento e oggi per inquadrarla si usano i Criteri di Roma e i Criteri di Manning. Schematicamente possiamo dire che ci troviamo difronte ad una IBS quando vengono rispettati i criteri di Roma, di cui vi parlerò in un altro capitolo.
Secondo Adrian Manning quello che risulta più importante è la caratteristica delle feci e il tipo di evacuazione. Così potremmo parlare di IBS quando il numero di evacuazioni è elevato, preceduto da dolore o gonfiore addominale che cessa dopo quello che risulta essere uno svuotamento liberatorio, quando le feci sono sciolte, magari accompagnate a presenza di muco, ma anche, per contro, da un senso di incompleta evacuazione. Si può capire da quanto detto che tutti o nessuno potrebbero rientrare in questo tentativo di definizione della IBS.
Questi tentativi ricordano la volontà, anzi la necessità, di ogni uomo e medico, di inquadrare, catalogare, definire e confinare ciò che lo circonda. In questo caso la IBS si fa gioco di noi che tentiamo di intrappolarla in definizioni e schemi come abbiamo fatto con il tempo nell’orologio. Ma la IBS, a differenza sue colleghe malattie sfugge continuamente a questi schemi e si presenta spesso con manifestazioni imprevedibili per frequenza e caratteristica di espressione. In questo senso è tanto fastidiosa quanto affascinante.
Ma il tentativo di inquadrarla non deve venir meno, perché solo così sarà possibile confrontare risultati terapeutici e test diagnostici per scovarla. Ma la difficoltà maggiore, lo ricordo ancora una volta, è che non ci troviamo difronte ad una patologia che determina una lesione d’organo o un’alterazione biochimica dosabile e comparabili. Se ne occupano, specialisti diversi, gastroenterologi innanzitutto, ma anche neurologi, infettivologi, clinici medici, endoscopisti, anatomopatologi.
Avevo già scritto in un’altra occasione (link) che la comunicazione è necessaria e che il linguaggio comune è imprescindibile per ottenere risultati clinici e per non alimentare un senso di abbandono nei pazienti. Per questo è giusto continuare ad incontrarsi tra medici cercando sintomi e manifestazioni comuni e risposte comparabili nell’utilizzo dei vari farmaci.
L’intestino appare macroscopicamente normale. L’esame culturale delle feci appare nella norma. Bisognerebbe poter analizzare il sistema nervoso enterico e i suoi gangli (piccoli centri nervosi) sparsi nella parete dell’intestino, ma per farlo bisognerebbe fare un prelievo profondo e questo comporta un rischio di perforazione troppo alto. I disturbi dovuti ad una IBS non sono tali da giustificare questo rischio.
D’altra parte la neurogastroenterologia è relativamente recente e finora non è stata in grado di dimostrare anatomicamente o funzionalmente la sindrome dell’intestino irritabile. Bisognerebbe trovare cellule “di aspetto diverso” oppure un “numero diverso” di cellule per poter dare la responsabilità della IBS al sistema nervoso enterico.
Cosa che finora non è stato possibile fare.